Un dissacratore: Amerigo Tot

(MICHELE CALABRESE, Il Poliedro, Numero speciale dedicato alla scultura di Amerigo Tot, Roma, 01 April, 1969, pp. 31-32.)

— by MICHELE CALABRESE

Non è facile parlare di Tot. Degli amici si può dire tutto, tranne che enumerarne i difetti. E Tot è imbottito di difetti come una stiva può essere carica di derrate. Ma ha pure tante virtù: molteplici infinite e a fronte alle quali i difetti diventano impercettibili. Per cominciare il più grosso difetto di Tot imperdonabile, è quello di volersi sempre considerare al di sotto delle proprie qualità. Sarebbe il più grande scultore del mondo se si fosse saputo organizzare un battage alla stregua di tanti altri meno importanti, me-no validi di lui. E, invece, Tot è dispersivo. Distruttivo, addirittura. Alto e ben portante, scontroso, arrogante, prepotente, scostante magari per chi non lo conosce, misura gli uomini da certi atteggiamenti che a volte sono costretti ad assumere per difesa della propria personalità. Tot ha l'animo candido e ingenuo di un bambino. Generoso, buono, amico fedele nella buona e nella cattiva sorte. Quindi, esposto alle insidie dei furbastri, dei profittatori, degli scrocconi di professione. E' nato a Csurgo, in una vigna di Ungheria. Ma ha avuto per patria il mondo e per mèta l'Italia: Roma. Dine nelle sue confessioni: « Misi giudizio a sedici anni, troppo presto, se pensate che sono di razza longeva e con un nonno di centoquattro anni in fregola, mandato via per sempre dal paese con una pallottola in corpo, tra la delusione delle ragazze ». Fece il primo viaggio a Dessau per studiare al « Bauhaus ». Il suo primo maestro fu Moholy Nagy. Poi passa alla fame nera di Parigi e quindi mozzo su un traballante cargo che gli fece fare un giro preciso da Schwinemunde a Helsinki, Stoccolma, isole Aaland e di nuovo a Schwinemunde. Ritorno quindi in Germania a modellar « pupazzi » con la creta. Qui si unisce al gruppo di Otto Dix e degli artisti rivoluzionari, per « scolpire e dipingere in libertà ». Fino al giorno in cui i nazisri non cominciarono a distruggere le statue e a bruciare i dipinti. Tot prende allora la via dell'Italia e dopo una breve parentesi all'Accademia d'Ungheria si trasferisce in via Margutta ove abita ancora. Qui sono nate le sue statue disseminate in ogni parte del mondo, girovaghe inquiete e i disegni dei suoi pannelli: dal grandioso fregio della stazione Termini a quelli dell'università, dal Tavoliere ai più recenti del transatlantico « Raf-faello. « Ha scagliato — dice Tot — pietre su piazze e musei, in faccia al vecchio e al nuovo, verso il nord e a sud, per peccato o per metamorfosi; ma è quello che dovrei stabilire e ancora non posso ». Per il carattere particolare della sua scultura Tot occupa un posto di assoluta preminenza nel panorama artistico contemporaneo. Nell'epoca in cui l'Italia specialmente era gonfiata dalla retorica celebrativa, romana e imperiale, Tot scolpisce la serie delle Celestine, delle Giuditte, delle Susanne e dei famosi ritratti d'uomo (Il Conte, l'Inviato speciale, eccetera). E, dopo la Donna incinta, le Donne-sasso. Statue enormi, rannicchiate su se stesse, stret-te a difesa e ricacciate nel primitivo, mitico, originario: quasi presaghe del-le luttuose giornate che avrebbe vissuto il mondo e in cui tutti insieme, statue e uomini, ogni giorno, ci saremmo sentiti un po' morire. Alla fine del conflitto Tot si trovò automaticamente inserito nelle nuove correnti artistiche di avanguardia, sociali e protestatarie. Per la sua arte non v'è dilemma, non esiste alcuna discriminazione. Figurativo o astratto, costruttivismo o informale sono termini vaghi, approssimativi che non hanno senso per lui. Per Tot ogni individualità artistica si manifesta secondo determinanti e determinati aspetti. Egli stesso ha cercato, in una intervista concessa recentemente, di precisare il suo pensiero rispetto alla volontà di ricerca che oggi, come non mai, sollecita gli artisti: « I problemi del Rinascimento sono stati risolti da grandissimi geni. E' inutile quindi tornarci sopra e fermarcisi, pena la accademia. Ora io sono contro ogni accademia nella quale può cascarci anche la arte moderna, compresa la astratta e la informale. Perciò mi sento totalmente impegnato alla ricerca, nella problematicità come essenza dell'arte contemporanea: intellettualmente, sentimentalmente, fisicamente. C'è in me un continuo bisogno di esperienze e di esperimenti, ma come secondo natura: la mia natura d'uomo ». L'ultimo lavoro di Tot, oltre i pannelli che fregiano lo scalone d'onore della Raffaello sono state le illustrazioni dei Capricciosi ragionamenti dell'Aretino e quelle dei Sonetti lussuriosi. Artista continuo, Tot ha voluto rendere questo omaggio, veramente meraviglioso, ai classici della letteratura italiana ch'egli adora oltre ogni altro svago spirituale. Spera di illustrarne altri. Intanto è pago di essersi potuto mi-surare con l'opera di un uomo, l'Are-tino, « che ha saputo fare dell'amore un epos nazionale ».